Carlo Mazzacurati: una certa idea di cinema

Mario Canale, Enzo Monteleone

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Un documentario in memoria del regista Carlo Mazzacurati, scomparso nel gennaio del 2014. Fautore di una poetica particolare, autore di un cinema elegante, Curati si è distinto per la varietà di generi in cui si è cimentato, dalla commedia al noir.Mazzacurati è stato capace di raccontare l'Italia, non quella più approfondita, ma sprazzi del Bel Paese poco frequentati e che solitamente vengono asciati ai margini, un artista in grado di creare microcosmi ricchi di pietas, come i suoi personaggi attaccati alla dignità dei gesti concreti, molto simili agli ambienti in cui vivono. Il documentario ripercorre l'esperienza del regista in un percorso legato ai temi principali della sua carriera, che lo hanno contraddistinto, così come i sentimenti che lo hanno guidato nella sua vita e i luoghi in cui ha vissuto e che ha raccontato.
DATI TECNICI
Regia
Mario Canale, Enzo Monteleone
Durata
96 min.
Genere
Documentario
Sceneggiatura
Mario Canale, Enzo Monteleone
Montaggio
Livia Galtieri
Distribuzione
Fandango
Nazionalità
Italia
Anno
2025

Presentazione e critica

Nel 1987 nasce la Sacher Film, società di produzione cinematografica voluta da Nanni Moretti e Angelo Barbagallo. Il primo film prodotto è Notte italiana, di un quasi esordiente di Padova, Carlo Mazzacurati, che ha già sceneggiato Marrakech Express di Gabriele Salvatores e con questo debutto si procura subito attenzione critica e vince un Nastro d’argento. Seguiranno per lui e piccole parti da attore (il critico cinematografico strapazzato da Moretti in Caro diario, il cameriere di Il caimano), molti altri film da regista, tra i quali anche documentari (i Ritratti su Mario Rigoni Stern, Andrea Zanzotto, Luigi Meneghello, ma anche Sei Venezia e Medici con l’Africa). Un corpus di opere che si interrompe con La sedia della felicità (2013).

Se il regista è scomparso il 22 gennaio 2014, all’età di 57 anni, la sua eredità non è stata affatto dimenticata. Tanto meno dai suoi compagni di viaggio, autori e complici del documentario di Mario Canale e Enzo Monteleone: in primis proprio Nanni Moretti: “uno dei motivi che ci spingeva a costituire questa Sacher Film era il piacere di lavorare insieme a persone con cui si stava bene, che ci sono simpatiche e che stimiamo”.

Carlo Mazzacurati – Una certa idea di cinema è un lavoro rispettoso e delicato come il cinema che rievoca. Gli autori scelgono di non ricostruire una biografia in senso cronologico e di non ospitare interventi di critica cinematografica – fatta eccezione per una bella provocazione di Marco Paolini, che vede in Corinto, il protagonista bovino di Il Toro, forse il suo titolo più noto e rappresentativo, una proiezione dell’amico regista. Impostano invece il film principalmente attorno a una lunga intervista video di Mario Canale (autore di un corposissimo archivio di backstage e interviste del cinema italiano conservato nell’Archivio Storico Istituto Luce), realizzata in occasione di La lingua del santo (1999) proprio a Padova. A partire da quest’intervista centrale, poi affiancata dalle memorie di diversi attori e dei sentimenti che il suo cinema ha ispirato, prende vita “una certa idea di cinema”: profondamente nutrito di letture classiche e novecentesche, anche di genere, intriso del paesaggio del Nord Est non molto esplorato prima, provinciale, amicale, affezionato ai “non vincenti”, alle persone comuni, sentimentale nel senso più autentico del termine. Mai concentrato sulla mostruosità dell’umano, semmai sulla debolezza, il lato umano, la pietas che i personaggi ispirano, nelle loro umanissime imperfezioni. L’assenza di interventi critici è fortunatamente compensata da numerosi e puntuali estratti dei film di Mazzacurati, anche i primi e meno visibili, compreso Notte italiana: Roberto Citran ricorda la genesi del pochissimo visto e autoprodotto Vagabondi e anche di Il prete bello, Silvio Orlando si sofferma su una scena decisiva di Un’altra vita, sulle considerazioni del regista sulle scelte musicali o sul tema della formazione scorrono alcuni estratti di Vesna va veloce e di L’estate di Davide. Seguono film più noti al grande pubblico come L’amore ritrovato, La lingua del Santo, La giusta distanza, La Passione. È un vero piacere rivederli in successione, radunati e ragionati, descritti dalle parole dell’autore e culminanti in un montaggio di danza; è anche un paradosso che ad oggi non siano tutti reperibili. Una lacuna che ci si augura questo lavoro appassionato aiuti a colmare.

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Scomparso a soli 58 anni, Carlo Mazzacurati è stato un autore che avrebbe potuto ancora dare molto al cinema italiano, spaziando da un cinema di confine, quasi che le sue storie servissero a ridefinire, in quegli spazi liberi che dalla laguna sconfinano verso est, nuovi orizzonti narrativi, ad un cinema più scanzonato, aderente ad una natura italiana tradizionale con le coloriture e le sfumature di uno sguardo costante verso la tradizione narrativa orientale. Diremmo quasi che Mazzacurati era posizionato geograficamente con tanto di gradi di latitudine e di longitudine e il suo cinema rifletteva questa sua caratteristica, in altre parole quel paesaggio interiore che lo stesso regista richiama nell’incipit del film.
Mario Canale ed Enzo Monteleone, quest’ultimo con Roberto Citran e lo stesso Mazzacurati in un cinema off della Padova degli anni ’70, davano vita ad un cineclub che ha formato il loro sguardo e alimentato la loro passione cinematografica. I due registi coadiuvati da una lunga fila di attori, registi e comunque amici dell’autore scomparso, con il loro film documentario sulla vita artistica del regista ricompongono, passo dopo passo dagli esordi all’ultima fatica registica, la carriera di Carlo Mazzacurati, provando attraverso una serie di interviste rilasciate dallo stesso autore e queste testimonianze preziose e divertenti che tracciano attraverso le parole di Nanni Moretti o Silvio Orlando, di Valerio Mastandrea o Roberto Citran e di molti altri, il profilo umano e autoriale di Mazzacurati.
Il film che deriva da questo lavoro ricostruttivo è lineare e utile nel suo carattere meramente compilativo nel quale gli autori non sembra vogliano intervenire, consegnando il compito di restituire il senso del cinema del regista veneto alle immagini dei suoi film che in ordine cronologico sono ricordati a cominciare dal primo Vagabondi di cui si è perduta ogni copia, fino all’ultimo e alle parole dei testimoni che hanno avuto il piacere di conoscerlo e di lavorare con lui.
Il documentario non si discosta da questa sua esplicita forma che ha a che fare con una narrazione del personaggio, diventando un utile vademecum sul cinema e sulla poetica di Mazzacurati, ma nel contempo rinunciando a diventare qualcosa di più, come ad esempio un saggio più sapiente e più intessuto della materia di questo cinema che da sempre ha lavorato su un confine instabile, inventando storie da noir all’italiana o piccole tragedie della nebbiosa provincia del nord est. D’altra parte è lo stesso Mazzacurati a parlare in termini entusiasti della provincia come riserva di sguardi originali sul mondo.
Ma in fondo si tratta di scelte che appaiono perfino insindacabili e come sempre il documentario deve parlare con le parole che gli sono proprie. Carlo Mazzacurati. Una certa idea di cinema parla una lingua semplice e immediata e ci offre un profilo dell’autore sul quale indaga, forse quello più immediato, quello che il pubblico ha in qualche modo conosciuto, attraverso i suoi film assolvendo con attenzione il proprio compito con l’immediatezza delle immagini e la voluta semplicità del suo impianto.

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