Ari Aster
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Attività
Presentazione e critica
Beau ha paura non è un film horror come i precedenti di Aster, anzi spesso ci fa sorridere per il surrealismo e il grottesco che lo pervade. A questo proposito appare azzeccato il commento di Rolling Stone US che ne parla come “la commedia più terrificante o l’horror più divertente del 2023”. Ari Aster non cerca più di pietrificarci con ripetute scene orrorifiche, come nei precedenti film, ma ci inquieta e ci paralizza per tre ore con una serie di sequenze, a tratti indigeribili, e ci spaventa perché affronta un’altra tipologia di paura, quella mentale, che ci sconvolge emotivamente più dei particolari trucidi che permeavano Hereditary e Midsommar.
Ma vale la pena lasciarsi travolgere per tre abbondanti ore da questa contorta e ambiziosa pellicola da considerarsi come una turbolenta odissea psicologica?
Beau Wassermann (Joaquin Phoenix) è un uomo di mezza età con la mente offuscata da una serie di problemi psichici. Vive da solo in un appartamento circondato dalla feccia della città, dove ogni minimo passo è un tentativo di sopravvivenza. Paranoico e con il complesso di Edipo prende alcuni farmaci e frequenta regolarmente uno psicoterapeuta (Stephen McKinley Henderson). Quando Beau deve partire per andare a trovare la madre che abita a qualche ora di distanza, hanno inizio una serie di peripezie che trasformeranno questo suo viaggio in un percorso introspettivo, ricco di tappe surreali e allucinanti.
In Beau ha paura, ogni tappa del protagonista diventa metafora e allegoria di qualcosa di molto più grande. Noi esploriamo il mondo psicologico di Beau, filtrandolo attraverso i suoi occhi. Molte delle sequenze che vediamo sono frutto della mente del protagonista oppure sono da lui ingigantite e distorte. Beau teme tutto, è costantemente spaventato e questo gli impedisce anche di avere fermezza sulle decisioni da prendere, è un inetto che nel suo cammino sprofonderà e ci farà sprofondare in un turbinio vorticoso di sensazioni contrastanti. Alla fine della proiezione saremo disorientati e attanagliati da una serie di dubbi esistenziali e continueremo probabilmente a domandarci cosa di preciso abbiamo visto nelle precedenti tre ore. ll lungo pellegrinaggio di Beau può essere paragonato ad una serie di opere letterarie. Innanzitutto il suo viaggio è un’Odissea, anche se Beau è ben lontano dall’Ulisse omerico, che lo porterà, superando una serie di peripezie, a raggiungere la madre, intesa quindi come la sua Penelope. Ispirato anche all’Ulisse di Joyce e simile per struttura al Candido di Voltaire, Beau ha paura è permeato anche dalla psicologia freudiana e dalle ideologie kafkiane. Ma Beau è un po’ come Dante che quando inizia la sua discesa negli inferi è spaesato e turbato e man mano arriverà sempre più in profondità, proprio come Beau che attraversa i gironi mentali della sua psiche.
L’abilità e la maestria, nonché l’ambizione di Ari Aster sono evidenti: il regista riesce modificare le persone e gli ambienti in base alla tappa in cui si trova Beau; ecco che ci troviamo catapultati in mondi sempre diversi e ci sembra di guardare più film uno dopo l’altro, di generi sempre differenti attraverso passaggi irrazionali. Beau ha paura è una sorta di road movie in cui il protagonista si trova ogni volta di fronte ad una nuova paura.La pellicola non è di facile comprensione, ci può apparire sconnessa e senza un filo logico. Probabilmente questa confusione è voluta dal regista che non permette agli spettatori di decifrare tutti i messaggi del racconto. Ma, in fin dei conti, Beau ha paura è questo, è l’impossibilità di decodificare i mutevoli meccanismi psichici, è puro delirio misto a follia. Un film claustrofobico che vi potrebbe lasciare interdetti.
Non passa molto tempo prima di comprendere che gran parte di quello che vediamo in Beau ha paura, cioè tutto il mondo intorno al protagonista, i personaggi che incontra e le cose che avvengono, non è necessariamente reale ma più spesso immaginato o temuto. Del resto come dice il titolo Beau, il protagonista, è spaventato da tutto, ha un disturbo e delle fobie eccezionali che lo bloccano, finendo per condizionare la sua vita. Questo nuovo film di Ari Aster vuole esplorare esattamente questo: quella sensazione di impotenza, terrore e incertezza che può provare una persona con paure che vanno dall’agorafobia alle allucinazioni, fino al complesso di Edipo e a tutta una parte irrisolta di rapporto con la propria identità sessuale. Non lo vuole fare da fuori, lo vuole fare da dentro, mettendo gli spettatori nella testa del personaggio, cercando di fargli provare le sensazioni che prova lui di fronte agli ostacoli della vita.
Nel caso specifico gli ostacoli che la vita presenta a Beau in questo film sono un viaggio verso la residenza di una madre oppressiva che l’ha sempre condizionato, e la successiva notizia della morte di lei (e quindi ancora l’esigenza di andare il prima possibile per il suo funerale). Come già detto non tutto sarà vero, qualcosa sarà falso, immaginato o enfatizzato e non importa davvero capire fino in fondo quale parte sia reale e quale no, perché il punto di Beau ha paura è che a prescindere dalla concretezza degli eventi tutto condiziona il protagonista alla stessa maniera e tutto genera in lui ansie, terrori e paure. Questo è quindi il genere di film in cui perdersi, in cui non capire perfettamente gli eventi è ciò che il regista cerca metodicamente e ha pianificato per noi.
Disseminato di false piste inferenziali, cioè tantissimi indizi che fingono di essere delle porte sullo svelamento di cosa accada ma in realtà sono solo suggestioni, modi per portare il nostro cervello lontano e fargli perdere tempo mentre qualcosa di nuovo e sorprendente accade, tutto il film è un grandissimo monumento all’ambizione disordinata. Ambizione di Ari Aster chiaramente, che dopo Hereditary e Midsommar lascia il cinema di paura per parlare della paura in sé, senza spaventare il pubblico ma cercando di andare molto a fondo nelle radici della psicanalisi. Ambizione di Joaquin Phoenix che si butta evidentemente con gioia in questo film che fa dello strano la sua caratteristica principale. La sua interpretazione è pianificata e illuminata come una grande prova d’attore ma la verità è che si tratta di una serie di quadri sopra le righe e grossolani, molto ma molto lontani dall’individuo problematico interpretato da Phoenix con grande sottigliezza in The Master o dall’introspezione delicata dei problemi di relazione vista in Two Lovers. (…)