Damien Chazelle
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Presentazione e critica
Raramente un film come Babylon arriva così presto nella carriera di un autore. Ma geni della risma di Damien Chazelle, a volte, trascendono le regole del tempo. Sbagliando e inciampando, anche. Perché Babylon è il manifesto della mente creativa del suo regista: genio e sregolatezza. Bellezza e imperfezione. Eleganza e volgarità. Un’opera che dividerà persino gli spettatori più granitici e schierati, perché è come quella montagna russa in cui prima stai bene e poi stai male, ma nonostante tutto non perderai mai la voglia di scendere.
La volontà di Chazelle di raccontare la sua idea di cinema parte dalla necessità di raccontare il cinema in generale. In poco più di tre ore di durata, questo mastodonte cinematografico chiamato Babylon racconta in chiave romanzata uno spaccato ben preciso della Hollywood degli anni Trenta, passando attraverso il punto di vista di svariate figure chiave dell’industria che vivono il grande sogno del successo.
Una storia di ambizione per chi parte dal basso come il giovane Manny Torres, un racconto di incredibile ascesa e di inesorabile declino per Nellie LaRoy, un’epopea di gloria giunta al suo tramonto come quella di Jack Conrad. Star del cinema muto, che dopo le scintille dei grandi colossal deve affrontare la micidiale avanzata del sonoro, destinato a cambiare per sempre il modo di fare cinema e di fruirne. Una grande disamina sull’evoluzione della Settima Arte, sugli eccessi sfrenati, sulle perversioni e sulle perdizioni in cui il lato più oscuro di Hollywood risucchia chiunque si sia spinto più in là della luce. Nel raccontare questi svariati punti di vista, e nel ruotare attorno a più tematiche, Babylon è veramente una grande Babilonia del cinema. Un film cangiante, strepitoso nella sperimentazione di più generi differenti, è tanti film all’interno dello stesso film, un caleidoscopio di suggestioni, narrazioni e stili che si intrecciano tra loro in una vera e propria orgia cinematografica. Perché caotica, attraente, irresistibile e sfrenata. È film storico che poi si trasforma in satira pungente in cui si ride di gusto, poi diventa commedia e storia d’amore, poi film drammatico e persino horror.
Il nuovo film di Chazelle è puro caos, e funziona per questo, persino con i suoi tangibili difetti. È infatti un’opera narrativamente sfilacciata, prolissa, imperfetta sul piano della coerenza e della linearità dell’intreccio. Con momenti che, a livello di scrittura, rimangono confusi, a volte pretestuosi. Insomma, è una pellicola che vive di alti e bassi. Ma in cui, per la varietà e la qualità dei temi trattati e del modo di portarli in scena, gli alti sono clamorosi e finiscono per oscurare o giustificare gli scivoloni.
E dunque va preso per quel che è: l’opera imperfetta ma affascinante e ammaliante di un autore che ha tantissimo da dire e che lo fa con una classe smisurata. Con lo stesso carattere registico dei suoi migliori capolavori, dirigendo con maestria e identità un cast di attori che regala performance eccellenti: su tutti, chiaramente, svetta l’interpretazione sregolata e intensa di Margot Robbie, vera mattatrice di tutta l’opera, affiancata da un Brad Pitt in forma smagliante e in vesti vagamente “tarantiniane”.
Sono le punte di diamante di un parco attori a dir poco memorabile, marionette di un grande demiurgo che dà forma ad uno dei titoli più interessanti, fascinosi e divisivi di questo 2023, ma che per il carattere con cui racconta, analizza, sviscera e fa l’amore col cinema merita di essere visto da chiunque ami quella parola magnifica chiamata “Film”.
(…) E proprio a una festa, in un lungo prologo di 40 minuti, comincia la storia di Nellie, Manny e Jack. Lei è una giovane e bellissima donna che sa di essere una stella del cinema, anche se non ha ancora recitato in nessun film, lui è un immigrato messicano disposto a fare di tutto pur di far parte di qualcosa di più grande di lui, l’altro è la star, colui che con il suo volto e le sue interpretazioni ha cambiato la storia. “Quando arrivai a Los Angeles sai cosa c’era scritto su tutte le porte? Vietato l’ingresso a cani e attori. Con me è cambiato” si presenta così nel trailer di Babylon, Jack Conrad, e lo capiamo subito.
Mentre, durante quella festa fuori di testa, Nellie sgambetta, tra mani che la toccano e strisce di coca che tira su con grande scioltezza e Manny si barcamena come tutto-fare risolvendo problemi e evitando disastri, Jack arriva trionfale, con il mondo, quel mondo, ai suoi piedi, bello e sicuro, già storia consolidata di quel baraccone affascinante e magnetico. Le loro traiettorie si prolungheranno, insieme a quella di Sidney, un talentoso trombettista jazz che a quella festa suona nell’orchestra, e attraverseranno quel periodo storico che segna il passaggio tra il cinema muto e il sonoro. Un momento selvaggio e feroce, senza legge né morale, terribile eppure irresistibile perché aperto a qualsiasi possibilità, a qualsiasi sogno, a qualsiasi ambizione.
Composto da macro-sequenze che, prese singolarmente, possono costituire dei blocchi narrativi autonomi, quasi dei cortometraggi, Babylon viaggia tra la commedia e il dramma, strizzando l’occhio al musical, all’horror, al western, perdendosi continuamente e ritrovandosi principalmente nello stile registico di Chazelle, nel suo montaggio, nel suo utilizzo incalzante della colonna sonora, sempre firmata da Justin Hurwitz e che naturalmente ricorda tantissimo quella di La la Land. Probabilmente con una scelta più focalizzata su cosa raccontare, il film sarebbe stato più ordinato, più compatto, più fruibile, ma sarebbe stato un’altra cosa, e non sarebbe certo stato un monumento all’ambizione del suo regista e a quella dei suoi personaggi. Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva sono dei protagonisti travolgenti, anche loro eccessivi e divertiti, abbandonati completamente al character, capaci di tutto, a volte di troppo.
Babylon ha una straordinaria forza motrice che trascina lo spettatore attraverso generi, toni, situazioni completamente diverse tra loro, ma risente anche di questa sconfinata ambizione e questo desiderio di essere eccessivi, per mostrare “ciò che Hollywood è sempre stata brava a nascondere”, ha dichiarato Chazelle stesso. Ebbene, se da una parte la frenesia orgiastica ed estrema, corredata di quasi ogni fluido corporeo umano e animale che si possa immaginare, è una cifra importante del film, dall’altra quella stessa frenesia è chirurgica, precisissima, messa in scena con grande controllo.
Damien Chazelle gioca con la volgarità, ma spesso questa è gratuita, fine a se stessa, tesa a ribadire un concetto che si somma a se stesso senza arricchirsi: il messaggio è sempre lo stesso, urlato forte e chiaro dalla prima all’ultima scena, attraverso i generi, i momenti storici, le varie individualità che la storia accompagna al naturale compimento del loro arco narrativo. Lo spettatore è sopraffatto ed esausto, ma non pieno di domande, di contraddizioni, di emozione. Chazelle manca di eleganza nel mettere in scena lo “schifo” proprio perché vuole mostralo in maniera glamour, senza avere l’onestà che avrebbe uno sguardo diretto e realistico; tutto è reso bello, accettabile, quasi morale da quella lente del cinema che tanto ama (e amiamo, si intende), da quell’impasto di immagini già viste e riproposte, masticate e poi rigurgitate per dare vita a un immaginario che ricorda qualcosa che è stato ma che allo stesso tempo è altro.
Come aveva proposto già in La la Land, Damien Chazelle costruisce un puzzle con i suoi riferimenti visivi lungo oltre tre ore, che sfocia, nel finale, in vera e propria videoarte, allontanandosi dalla forma narrativa adottata fino a quel momento e riassumendo il significato più alto e vibrante di Babylon: il cinema è immortale, ci plasma a dei livelli dei quali non siamo coscienti e ci restituisce al mondo diversi, imbevuti di bellezza, di prospettive, di immagini, da quelle ormai romantiche in bianco e nero del cinema muto, a quelle poderose di James Cameron su Pandora. I film sopravviveranno a chiunque, a chi li fa, a chi li guarda, a chi li sogna, a chi ne trae guadagno e a chi ne ricava solo struggimento. Babylon racconta l’imperitura fascinazione dell’uomo verso la Settima Arte.