Asteroid city

Wes Anderson

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1955, in un'immaginaria e remota cittadina americana desertica. Qui si svolge un convegno di astronomia noto come Junior Stargazer. La cittadina diventa per l'occasione meta per studenti, accompagnati dai rispettivi genitori, provenienti da ogni parte del mondo.
DATI TECNICI
Regia
Wes Anderson
Interpreti
Jason Schwartzman, Scarlett Johansson, Tom Hanks, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Bryan Cranston, Edward Norton, Adrien Brody, Liev Schreiber, Hope Davis, Steve Park, Rupert Friend, Maya Hawke, Steve Carell, Matt Dillon, Hong Chau
Durata
105 min.
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Wes Anderson, Roman Coppola
Fotografia
Robert D. Yeoman
Montaggio
Barney Pilling
Musiche
Alexandre Desplat
Distribuzione
Universal Pictures
Nazionalità
USA
Anno
2023
Attività

Presentazione e critica

Intorno al 1955, in un’immaginaria e remota cittadina americana desertica nota come Asteroid City, si svolge un convegno di astronomia, noto come Junior Stargazer. La convention attira moltissimi studenti con i rispettivi genitori, che giungono da ogni punto del paese per prendere parte alla competizione accademica che si tiene durante lo Junior Stargazer. È qui che diverse vite si incontrano e si sovrappongono in modi del tutto inaspettati.
Quando i visitatori di Asteroid City hanno un incontro molto ravvicinato, l’esercito americano decide di intervenire, costringendo tutti i testimoni a una quarantena nella cittadina. Mentre sono costretti a restare nei loro appartamenti, vediamo questa serie di personaggi intenti a discutere di diversi argomenti: c’è chi progetta di fuggire di nascosto, chi cerca di tornare alla realtà, nonostante la visita aliena, e chi, dopo aver compreso che non siamo soli nell’universo, inizia a riflettere sulle credenze religiose e le teorie esistenziali.

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(…) Nel sottolineare l’importanza e la bellezza della scrittura, nello specifico giornalistica, The French Dispatch parlava tramite la tipica composizione simmetrica delle sequenze del cineasta texano portate alla loro massima forma, sublimando lo stesso tratto stilistico per cui il regista è diventato famoso. Il raggiungimento di una completezza per cui, oltre, effettivamente sarebbe difficile andare. (…) Se l’arte della scrittura telegrafica, essenziale, informativa e comunque narrativa, era stata la base su cui costruire le tre storie di The French Dispatch, in ASTEROID CITY sono le luci del teatro a illuminare un racconto creato per un palcoscenico, ma riprodotto dal film come un’opera cinematografica. Meta-teatrale, più che meta-cinematografico.

La costruzione di una pièce di cui conosciamo il creatore, il drammaturgo Conrad Earp impersonato da Edward Norton, che dentro e fuori la sua storia ci porta alla scoperta sia dei processi di ideazione che dinnanzi al risultato del proprio lavoro. Nel film osserviamo il palco, le quinte, il retroscena, diventando presto chiaro agli spettatori che, quello che andranno a vedere, non è altro che un momento di spettacolo che, in verità, sta avvenendo in quel preciso momento su di un palco.
Fare dentro e fuori quel rettangolo di legno, sconfinare andando più in là del sipario. Sentire una voce che, extradiegetica, descrive dapprima il titolo, il luogo, le ambientazioni e i personaggi, con tanto di presentazione degli attori che andranno a interpretarne la storia, a propria volta interpreti che noi stessi conosciamo con ben altri nomi. Le incursioni tra reale e finzione, tra ciò che avviene in scena e ciò che accade alle prove, è la maniera di Anderson di ricordarci ogni volta che, il suo, non è altro che questo. Cinema al confine, cinema in bilico, cinema estatico. Un cinema in cui sappiamo perfettamente chi sono i suoi attori feticci, in cui non sempre il racconto segue un andamento regolare e che anche i suoi modi di narrazione stanno evolvendosi, cambiando. Non intraprendendo più storie lineari e chiuse, ma cercando di rendere un “concetto” il senso stesso dell’opera. Qui, con ASTEROID CITY, il centro è l’assenza, volontaria, proprio del “senso” interrogato. Mescolare a un retro futurismo, nella sua atmosfera anni Cinquanta, la completa mancanza di direttive e coordinate, se non quelle riferibili all’insensatezza medesima delle storie. Al loro non essere altro che mezzi per creare contatti, terresti e extraterresti. In cui perdere la bussola è spesso l’unica maniera per fruire davvero i racconti: “non ci si può svegliare se non ci si addormenta mai”. Così eccolo, un nuovo film di Wes Anderson. Vuoto? Pieno di incoerenza, di assurdità, di sventatezza. Ma non è esattamente la vacuità che ci ha insegnato il teatro del Novecento? Forse lo sé, forse no. Forse è soltanto un cinema alieno.

Proprio come con The French Dispatch, punto massimo espressivo della carriera di Wes Anderson, l’autore texano continua a creare un cinema basato più su dei “concetti” che su delle autentiche storie, servendosi in questo caso con ASTEROID CITY del mondo del teatro. Della finzione e della creazione, di cosa accade dentro e fuori da un palcoscenico: il film è una riflessione su quanto i racconti possano essere irrilevanti, ma pieni di bellezza, come quella simmetrica che il cinema di Anderson ha sempre dimostrato.

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ASTEROID CITY è un buon film ed un passo in avanti rispetto a The French Dispatch. È però lontano dalla brillantezza narrativa di Grand Budapest Hotel, ma anche dalla semplicità di Moonrise Kingdom. Si tratta dell’opera che sintetizza Wes Anderson, con i suoi pregi ed i suoi difetti.
L’estetica è ancora una volta il fiore all’occhiello del lavoro di Anderson. È sufficiente un piano sequenza per stupire e trasportare lo spettatore nel mondo desertico e nelle atmosfere retrò di ASTEROID CITY. Non staremo qui a commentare la maestria del regista nel regalare inquadrature sensazionali, fuori dal comune per la cura nell’uso delle simmetrie. Un formalismo visivo che si accompagna a quello narrativo, reso attraverso la cornice che racchiude la vicenda principale. In tal modo il film viene presentato come una vera e propria opera teatrale (giustificando anche la “teatralità” del regista e della scenografia), una suddivisione in atti e scene che compare a schermo.
Se nelle prime fasi questa metanarrazione sembra una sfida vinta, con il passare del tempo l’incursione della produzione teatrale, delle sequenze in bianco e nero narrate da Bryan Cranston, risulta un’arma a doppio taglio. Quella di Asteroid City è una storia in cui ci si vorrebbe immergere totalmente, ma si viene respinti dai continui intermezzi, almeno fino al gran finale.
D’altra parte quella di Wes Anderson è una scelta consapevole. Perché semplicemente non c’è nulla da raccontare. O per meglio dire, parafrasando le parole di uno dei personaggi di Asteroid City, non c’è nulla da capire.
Inutile allora chiedersi il senso di ciò che avviene nel corso del film. Inutile chiedersi perché i personaggi compiano determinate azioni. In realtà Anderson accenna una risposta: in alcuni casi ci si comporta in modo strano per essere ricordato dagli altri, per farsi notare pur apparendo diverso, in quello che sembra un commento sul suo modo di fare cinema.

ASTEROID CITY è, tra le tante cose, un film sulla diversità. Ognuno è diverso a modo suo. Chi perché è troppo intelligente per non dare importanza a ciò che conta realmente. Chi perché è talmente sopraffatto dal dolore da non trovare il coraggio di esternarlo. C’è sempre però qualcuno con cui condividere la propria diversità. Il teatro umano di Wes Anderson è talmente eterogeneo da poter offrire punti di vista estremamente differenti sugli stessi avvenimenti, sulla vita stessa. La morte può essere vista con gli occhi di un genitore o di un marito sopraffatti dal dolore, ma anche con quelli di bambine che non hanno neppure la concezione del tempo, figurarsi dell’eternità.
Neanche un genio può tuttavia dare una spiegazione all’infinità dell’universo e alla vita extraterrestre. Tutti i dubbi esistenziali restano senza risposta, perché per Anderson diventa impossibile razionalizzare l’imprevedibilità della vita. Ed è per questo che anche ASTEROID CITY è destinato a restare incompreso, tra mille possibili teorie la verità assoluta non esiste.

Sono queste le uniche conclusioni che è possibile trarre da un ottimo terzo atto, in cui le vicissitudini dei personaggi e dei loro attori si intrecciano abilmente, con una toccante riflessione sul dolore e sull’arte. (…) per quanto ambiziosa, ci troviamo di fronte ad un’altra opera del regista in cui lo stile prevale sul contenuto. Wes Anderson in tutto e per tutto, prendere o lasciare. Noi ce lo teniamo stretto, in quanto ASTEROID CITY è l’ennesima dimostrazione dell’unicità del regista, di un modo di fare cinema così particolare da tenere incollati allo schermo ad ogni inquadratura.
ASTEROID CITY è uno dei film più andersoniani di sempre. Un’opera visivamente ineccepibile, espressione della cura del regista per l’estetica dei suoi prodotti. A questa si accompagna una narrazione stratificata, ambiziosa, ma che non convince fino in fondo. Nel complesso però il ritorno di Wes Anderson è più che promosso.

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