Argentina, 1985

Santiago Mitre

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Argentina, 1985 vede una squadra di avvocati alle prese con un processo, che coinvolge i comandanti della dittatura militare argentina negli anni '80 e che ha avuto inizio dopo che i procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo hanno indagato sugli eventi accaduti sotto il regime. I due non si sono mai scoraggiati, nulla li ha fermati, neanche la massiccia presenza dei militati all'interno della loro instabile democrazia. Mentre vengono affrontate le terribili vicende che hanno portato i comandanti a essere accusati per crimini contro l'umanità, il tempo incalza e il processo volge a termine verso il suo esito finale.
DATI TECNICI
Regia
Santiago Mitre
Interpreti
Ricardo Darín, Peter Lanzani, Gina Mastronicola, Norman Briski, Alejandra Flechner, Francisco Bertín, Claudio Da Passano, Santiago Armas Estevarena, Paula Ransenberg, Carlos Portaluppi, Alejo Garcia Pintos, Héctor Díaz
Durata
140 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Mariano Llinás, Santiago Mitre
Fotografia
Javier Julia
Montaggio
Andrés P. Estrada
Musiche
Pedro Osuna
Distribuzione
Amazon Prime Video
Nazionalità
Argentina, USA
Anno
2023
Classificazione
6+
Attività

Presentazione e critica

Che forma ha la speranza? Quali sono i contorni della giustizia? In ARGENTINA, 1985, filtrata dalla cinepresa di Santiago Mitre, la sete di giustizia per un paese che ha subito in silenzio i colpi dei gerarchi ha la forma di occhiali da vista e mani che battono insistenti su macchine da scrivere. Hanno il corpo di giovani speranzosi e gli occhi stanchi, ma comunque accesi da una fiamma di speranza, di un procuratore, Julio Strassera, deciso a lavare la pelle ferita della propria nazione.
Affondando a piene mani nel grande calderone della Storia recente, il regista Santiago Mitre, e il co-sceneggiatore Mariano Llinás, arrivano fino al capitolo dell’anno 1985 per riportare sul grande schermo le fasi salienti del grande processo ai danni dei capi gerarchi del governo simil-fascista. Uno sguardo passato per stipulare i moniti del presente in un discorso che dal particolare nazionale, si eleva a un avvertimento universale, affinché altri processi non vengano intentati, e altre bocche non debbano proferire ricordi taglienti, dolorosi, insostenibili, proprio come le violenze subite e le minacce ottenute.
Argentina, 1977-1983. Nell’arco di questi cinque anni una dittatura “feroce, clandestina e vigliacca” ha governato l’intero paese, spargendo sangue e terrore. La fragile democrazia che ne è seguita, per rimanere tale, deve processare le “juntas” militari, così da rendere giustizia alle vittime e al paese intero. Per la prima volta nella storia, il compito di mandare in prigione le alte sfere dell’esercito tocca ad un tribunale civile, e ad una persona in particolare: il pubblico ministero Julio Strassera.

Torture, sparizioni, spari e morte: è un manto funereo, di un nero profondo, quello che ha coperto per cinque, lunghissimi anni, l’Argentina durante il mandato dittatoriale di Jorge Rafael Videla. Una parentesi dolorosa, che brucia come una ferita aperta, ma che il regista Santiago Mitre lascia ai confini del fuori campo. Nessuna riproposizione visiva di quegli anni; a rivivere sullo schermo sono solo i suoi ricordi, lasciando che siano gli spettatori, con la forza della propria immaginazione, a colmare quelle falle narrative. È nella portata mnemonica dei testimoni chiamati a processo, e delle parole impresse su documenti di archivio, a immergere il pubblico nello spazio-tempo di quegli anni, recuperando un senso di violenza e ingiustizia sociale inaudita, eppure costantemente pronto a ripetersi, in parti diverse del Mondo. Seguendo le fasi salienti del maxi-processo con a capo il procuratore Julio Strassera, Mitre riesce a redigere il proprio saggio storico, svestendo la propria opera di tratti finzionali e romanzati, per abbigliarla di un vestito di fattura documentarista. Una scelta sottolineata dall’inserimento di immagini restituite sotto forma di falsi estratti televisivi, tali da elevarne la portata storica, ed esacerbare quella presa in prestito da momenti altri, realmente accaduti, che fanno del proprio film uno sguardo diretto sul passato. Un’apertura dei cassetti mnemonici di carattere nazionale, mai compiuta con fini prettamente didattici, ma semplicemente dimostrativi, affinché il sangue dei padri non venga rigettato su quello dei figli.

La nazione come grembo materno, e la famiglia come parte della nazione. È così che l’Argentina viene restituita in senso ideale, tanto dalla propaganda, che dagli scarti di raccordo che uniscono le varie sequenze di Argentina, 1985. Esiste un legame stretto, inossidabile, che unisce ogni cittadino al proprio paese; un rapporto ancor più profondo se a infondere vita all’opera è la figura di un uomo di giustizia come il procuratore Strassera. Non a caso il film di Mitre prende corpo tra le pareti di casa dell’uomo, per poi farsi largo tra le sale di tribunali e uffici giudiziari. È il privato che si eleva al pubblico, il desiderio di protezione dei propri figli che si allarga a quello del proprio popolo. Ma Argentina, 1985 non assurge al ruolo di cautionary tale: non intende mostrarsi, cioè, nelle vesti di una fiaba tradizionale dalla morale didattica, ma semplicemente farsi sostituta della Storia attraverso gli occhi di chi quella storia l’ha scritta per davvero. I personaggi attirano la macchina da presa che li pedina registrandone gli scarti di sguardo tra il punto di vista di Strassera, della sua famiglia e quello dei suoi giovani collaboratori. Sono visioni che divergono, prendono strade diverse, alimentate dal fuoco di pensieri e riflessioni differenti, ma che pian piano iniziano a comprendersi, ad allinearsi, seguendo un unico percorso battuto dalla sete di giustizia. In una giostra umana, attraverso cui riscrivere il passato della nazione, a bucare lo schermo è soprattutto Riccardo Darín nei panni del procuratore Strassera. Il suo personaggio si staglia dinnanzi la macchina da presa come un volto simulacrale di più sconfitte e agognati successi. Sfruttando appieno la piena adesione al proprio personaggio, restituendone vizi e virtù, il cineasta ha potuto infilarsi tra le crepe di un sistema infettato dall’ambizione e dalla sete di potenza, enfatizzando le distorsioni e setacciando ogni metro fino a scavare nelle propaggini incancrenite di un governo che alla speranza ha preferito il sangue della violenza.

Argentina, 1985 sembra prevedere tutti i passaggi narrativi obbligati del dramma storico processuale; eppure, ognuno di questi finisce per presentare una particolarità che lo rende irriducibile all’omologazione, offrendo un’opera commovente, ma mai melensa perché umana, sentita, coinvolgente tra pathos e comicità sottile e mai irriverente. E così, in un mondo dove le emozioni sono ridotte sempre più a ideali, simulacri viscerali e meno toccanti, Mitre abbraccia e restituisce quel senso di giustizia e comunità senza scadere nell’ovvia retorica, ma coinvolgendo il proprio spettatore con fare semplice e naturale. Ogni spettatore è adesso parte integrante del processo; testimone della sua preparazione, e osservatore privilegiato della sua attuazione, accede agli istinti che lo spingono, agli ideali che lo sottendono, legato da un rapporto simpatetico tra se stesso e i vari interpreti, capaci di tradurre in termini performativi paure e speranze, lotte interiori e battaglie giuridiche. La stessa arringa del procuratore non avrebbe vantano la stessa forza empatica se a restituirla non fosse stata una giusta alternanza tra primi piani su Strassera, e quelli su un uditorio in religioso silenzioso. Ammantata da una fotografia desaturata, ombrosa, pennellata da quelle tonalità seppia rimandanti agli anni Ottanta, la macchina da presa si sposta con attenzione, limitandosi nei movimenti, quasi non volesse tradire la propria presenza. Inserita in un ambiente dal forte impianto teatrale, la cinepresa si staglia nello spazio d’azione come un testimone nascosto, discreto, che si limita a registrare la realtà con i propri occhi artificiali. Tra riprese ad ampio respiro, e un’abbondanza di piani americani e medi, la macchina da presa si eleva a personaggio a sé stante, muovendosi nel campo di azione con fare furtivo, ma senza intromettersi troppo. Si pone alle spalle dei personaggi, li guarda dal basso come a nascondersi tra le gambe dei tavoli o dei divani, così da studiarli, analizzarli, per poi estrarne ogni pensiero, ogni emozione celata sotto la coltre del proprio ruolo istituzionale.

Quella di Argentina, 1985 è un’anima complessa, che scaturisce non solo da un comparto umano restituito da performance convincenti e naturali, ma anche da un montaggio capace di seguire, e poi riprodurre, il ritmo degli eventi che si susseguono e degli umori che li si vivono. È un’opera di parole, quella di Mitre; di testimonianze e giudizi, ipotesi e commenti. Argentina, 1985 è un dialogo trascinante, che evita l’aridità di interesse e un ingolfamento dell’attenzione grazie a un accompagnamento visivo capace di esaltare la portata della carica dialogica. Il montaggio, i movimenti di macchina non sono mai casuali, ma compiuti in funzione del momento. Senza mai cadere in un eccessivo virtuosismo, è nella semplicità della messinscena, nel minimalismo delle inquadrature, che si ritrova la volontà di ancorarsi ai propri personaggi, alla forza che raccolgono e comunicano, così da enunciare in maniera diretta le colpe degli imputati, colpendo al cuore i propri spettatori.

La discesa tenebrosa nell’animo umano, quella capace di colpire anche “bambini appena nati” viene ora resa tangibile, materiale che si può percepire, tastare con la forza dell’immaginazione. Una messa in scena di un inferno fattosi terrestre, abitato da demoni con divise, pronti a essere schiacciati dal peso della giustizia e da quegli occhiali che celano occhi stanchi, ma pieni di speranza. Gli occhi di un procuratore come Julio Strassera.

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