Alpha.

Jan-Willem van Ewijk

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Dopo la morte della madre, Rein si trasferisce in un piccolo villaggio delle Alpi per immergersi nella natura, meditare e lavorare come maestro di snowboard. La tranquillità termina quando l’invadente padre gli fa visita. Gijs è l’indiscusso protagonista di un’escursione sugli sci. Sa essere affascinante con tutti e, inoltre, inizia a flirtare con Laura, la nuova fidanzata di Rein, togliendo spazio al figlio. Non passa molto tempo, prima che Rein ne abbia abbastanza. Perciò, trascina il padre lontano dal gruppo. I due proseguono la loro escursione da soli. La tensione è palpabile. Gijs si sente sempre più a disagio su un terreno così ripido e pericoloso, ma Rein, nonostante le suppliche del padre, lo costringe a salire fino alla cima. Improvvisamente, la natura si scatena violentemente, trasformando la loro meschina lotta per il potere, in una prova di sopravvivenza.
DATI TECNICI
Regia
Jan-Willem van Ewijk
Interpreti
Reinout Scholten van Aschat, Gijs Scholten van Aschat, Kaija Ledergerber
Genere
Drammatico

Presentazione e critica

Jan-Willem van Ewijk (conosciuto dagli amici come “JW”) ha lavorato come progettista di aeroplani e per banche d’investimento, prima di inseguire il sogno di fare cinema. Nel 2006, ha scritto, diretto, montato e interpretato insieme a ex colleghi bancari, amici e famigliari, il suo primo lungometraggio Nu., menzione speciale come miglior opera prima al Dutch Film Festival. Dopo otto anni, Atlantic., un film su un windsurfista marocchino, è stato selezionato al Sundance Writer’s Lab e presentato in anteprima al Festival di Toronto. Dopo la pandemia, ha girato due lungometraggi in parallelo: l’ancora inedito Pacifica, su un padre che perde la figlia adolescente in una sparatoria, e Alpha.

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Terzo lungometraggio per Jan-Willem van Ewijk, (ne ha un quarto in post produzione), Alpha. è un thriller psicologico di altissima tensione. Il regista olandese concentra lo sguardo sul mondo maschile e sugli antagonismi che nascono per affermare la personalità. Il campo si stringe e diventa scarnificante quando a scontrarsi sono padre e figlio: Gijs e Rein (tali anche nella vita reale, gli attori Gijs e Reinout Scholten van Aschat). Rein dopo la morte della madre abbandona tutto per ricostruire la sua vita dal dolore del lutto, lontano dal suo recente passato. Adesso è maestro di snowboard in una località delle Alpi, la cui magnifica presenza, tremenda e affascinante, prende il sopravvento imponendosi sin dalle prime maestose immagini. Una telefonata lo avverte della visita del padre. Il giovane è sorpreso, ma non può ignorarne per sempre l’esistenza eliminandolo dalla sua vita. Il percorso di solidale sostegno che ci si può immaginare come logica conseguenza del tragico evento di un lutto, non è così scontato e non porta a chiarimenti risolutori. La loro è una relazione ormai segnata da sospetti e dissapori, rimproveri e sensi di colpa, accuse e attriti.

Ciononostante, Rein accoglie il padre nel minuscolo appartamento che abita condividendo spazio e tempo, sempre più occupati da un padre ingombrante. L’uomo ama mostrare il suo fascino prestante, in ogni occasione e con tutti; cerca di sedurre persino la giovane cameriera provocando il fastidio di Rein. L’atteggiamento del padre, del resto, non è insolito. Già in passato aveva cagionato tanta inquietudine e turbamento alla moglie e all’intera famiglia. La competizione è aperta e si sposta sul piano delle amicizie di Rein. Gijs vuole affermarsi anche tra loro. Flirta con Laura, la ragazza di Rein, e con l’altra giovane amica. La contesa passa dal piano affettivo a quello fisico. La tranquilla escursione del gruppo sulla neve diventa il ring dove aprire veementemente le ostilità, chiarire i ruoli, mettere limite a spazi e pretese, punire sbagli compiuti e in atto, risolvendo definitivamente un rapporto conflittuale di cui non si vedono orizzonti di espiazione. La prova diventa una lotta per la sopravvivenza e per stabilire chi è il maschio alpha.

Jan-Willem van Ewijk sceglie uno stile essenziale, scarno. La fotografia predilige i piani per descrivere introspettivamente i protagonisti, spesso posizionati in primo piano di spalla e con pochissimi incroci di sguardo, a sottolineare il conflitto e l’incapacità comunicativa. I campi sono invece riservati alla potenza della natura e delle sue montagne, con i massicci rocciosi aspri e solidi che svettano dal pacifico manto bianco della neve. I dialoghi sono essenziali e seguiti da lunghi silenzi in cui prevale una colonna sonora che esalta la trepidazione del thriller psicologico. Il regista sceglie la proporzione dell’inquadratura 1:1. Il quadro è spesso diviso in due da una perfetta perpendicolarità, dell’azzurro del cielo e del bianco della neve, della luce e della foschia, della pendenza ripida e priva della dolcezza dei piani. Il santuario della montagna si presenta spesso come l’antro della sibilla con i suoi presagi.

Van Ewijk esplora il mondo delle relazioni famigliari e lo fa con l’occhio dell’etologo che avvicina letteralmente le sue lenti ai soggetti osservati per documentarne comportamenti e reazioni. Ne viene fuori la descrizione di due caratteri forti che vogliono affermarsi l’uno sull’altro; il padre, continuando a mantenere la sua qualità di figura di riferimento che nonostante la perdita della donna vuole esibire la capacità di conquista; e il figlio, che chiede di liberarsi da un dominio sgradito per mostrare maturità, assertività e fermezza. Due maschi alpha dalla solida caratura personale che rischiano di scivolare nel narcisismo o di imboccare percorsi pericolosi e senza ritorno, sorprendenti come quelli con cui sa cogliere e stupire la montagna se la si vuole sfidare.

Ed è proprio la montagna, nello specifico le Alpi svizzere, il terzo protagonista di questo film che si impone con la magnificenza della sua natura alla modestia di quella umana. La montagna è misura delle capacità dell’uomo. Ispira a prove di coraggio, alla determinazione per la sopravvivenza; con la solidarietà della cordata, suggerisce il bisogno dell’altro, dello stare “legati” per sovvenire all’occorrenza; è richiamo della grandezza quasi divina, ma è misura dell’effettiva piccolezza umana. Su un monte si consuma la vicenda dei due confliggenti, richiamando l’esordio di un mito universale che narra della lotta di un genitore e del suo erede sino alla fine inesorabile di uno dei due. Il mito di Laio e di Edipo ritorna in scena. Qui è la natura a mettere alla prova il valore umano dei due protagonisti. Tutto rimane dentro le righe di un realismo che non scade mai in “illustrazionismi” gratuiti. Allo spettatore è richiesta un’attenzione speciale, oltre le righe, capace di sostenere la tensione che lo coinvolge sin dall’inizio della narrazione, e che suscita il desiderio di interpretare e valutare lo spessore di una storia di predominio maschile.

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L’olandese Rein lavora come insegnante di snowboard in un resort sciistico sulle Alpi svizzere, dove viene raggiunto in visita dal padre Gijs, che non molto tempo prima ha perso la moglie e madre di suo figlio. L’arrivo dell’uomo, di indole irruenta e spesso inopportuna, turba la vita tranquilla che Rein si sta costruendo, soprattutto agli occhi della ragazza con cui sta iniziando una relazione. Gijs si unisce ai due e a un gruppo di amici per un’escursione sulla neve, durante la quale le differenze caratteriali e le difficili esperienze passate metteranno in conflitto padre e figlio. Autore di due nuovi film a breve distanza l’uno dall’altro, l’olandese ex-investment banker Jan-Willem van Ewijk sta recuperando terreno dopo le prime regie di Nu e Atlantic, l’ultimo dei quali risale al 2014.

Alpha. ne segna il ritorno con un thriller psicologico asciutto ed essenziale, in cui la dimensione intima di un rapporto tra padre e figlio si specchia nell’imponente cornice di una natura tanto pericolosa quanto impassibile. Protagonisti sono – con nomi e parentela che vengono dalla vita vera – Reinout Scholten van Aschat e Gijs Scholten van Aschat, i quali nella prima metà di film calibrano alla perfezione il ritratto caratteriale di un papà dalla personalità ingombrante e di un figlio che ha imparato molto tempo fa a difendersene con il riserbo. Manesco, ficcanaso, cascamorto e anche un po’ razzista con la ragazza del figlio, Gijs è uno di quegli individui che vanno gestiti più che frequentati, e che con il fare istrionico dell’attore sanno spostare il centro gravitazionale di un gruppo per poi necessariamente esasperarlo. Il cinema di van Ewijk ha già vissuto di una mancanza di figure materne e di una presenza del contesto naturale e sportivo, e qui trova la sua forma forse più compiuta con una pressione che monta attorno ai personaggi proprio mentre lo sfondo spettacolare delle montagne innevate si apre alle loro spalle. Il valore tecnico dell’immagine è superbo, grazie a un formato squadrato, alla fotografia immacolata e al sottile lavoro sul sonoro e sulla quiete. Corpi e paesaggi si legano in una danza, si alternano nello schiacciarsi e nell’aprirsi, nel dare claustrofobia e vertigine, producendo una sinergia semiotica ed emotiva di alto livello. Nello spazio in cui la supremazia si tramuta in sopravvivenza, van Ewijk mette in scena un dibattito sulla mascolinità molto pratico e poco teorico, all’apparenza consapevole della sua stessa assurdità (come del resto sono sempre state assurde le teorie sulle personalità alfa) e pronto a seppellirla sotto una valanga di neve che, inevitabilmente, ha l’ultima parola.

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